“Il festival è stato uno spazio di riconciliazione, di ricongiungimento, di costruzione, di convivenza. Uno spazio con storie di vita, di lotta, di violenza, ma soprattutto di pace." Fabio Mariño, costruttore di Pace ed ex-guerrillero M-19
Le gocce di sudore continuavano a grondare dalle nostre fronti. Il calore vorace della giungla cacaricana non dava tregua, mentre gli insetti lasciavano il loro ricordo sulle nostre pelli. Ci trovavamo nell’estremo nord del Chocó, al confine con il Tapón del Darién, situato tra Panama e Colombia. Una zona ricca di biodiversità, ma anche teatro di orrori e di pericoli legati all’illegalità tra narcotraffico, paramilitari e tratta di migranti.
Per arrivarci avevamo dovuto salpare da Turbo con una lancia (una piccola imbarcazione) e percorrere il fiume Atrato, poi camminare per alcune ore fino a una delle zone umanitarie, muniti di amaca, corde e zanzariera.
Quasi un centinaio di persone si erano radunate nella comunità di Cacarica per partecipare al VII Festival de las Memorias, organizzato dalla Comisión de Justicia y Paz, in occasione del 25° anniversario dell’Operazione Génesis, un intervento armato in cui presero parte i paramilitari - con il supporto dell’esercito colombiano - che provocò un massacro tra i civili. Alla commemorazione vi erano rappresentanti provenienti da Paesi un tempo colpiti da brutali dittature, delegati di ambasciate e altre istituzioni, ex-attori armati e infine decine di portavoce di comunità etniche e agricole della Colombia.
Non era la prima volta che un evento di questa portata accadeva: tutto era iniziato anni prima, nel 2002, quando in Colombia un nuovo accordo di pace sembrava inverosimile.
“Abbiamo sofferto profondamente a causa della violenza, anche se durante il cammino del perdono siamo stati colmati dall’amore, consapevoli che la nostra realtà non si risolve con il carcere, ma siamo qui per imparare a costruire la pace. Se tutti noi contadini potessimo avere l’opzione di rispondere con la stessa violenza con cui ci hanno trattato, credetemi che questo sarebbe un inferno peggiore di quello che già è. Noi agricoltori scommettiamo sulla pace, nonostante tutto quello che stiamo vivendo, nonostante molti di noi non possano vivere nella fattoria, nonostante dormiamo con la paura, nonostante ad ogni angolo pensiamo che ci stiano per uccidere. Abbiamo ancora questa speranza, crediamo ancora di poter cambiare la realtà”. Jani Silva, agricoltrice della Reserva Campesina “Perla Amazzonica” e candidata al Premio Nobel per la Pace
L’obbiettivo della Comisión era quello di trovare una via per costruire la pace dal basso e nacque così l’idea di aprire un dialogo in cui la memoria potesse avere un ruolo trasformante, la giustizia integrasse il diritto restauratore, e la condivisione delle differenti verità, punti di vista e storie evitasse la ripetizione di brutalità e la continuazione di stereotipi, odio e vendetta.
Le parole di chi intervenne durante il festival erano pregne di resilienza e determinazione, mostrando un popolo disposto ad abbracciare la pace, nonostante le cicatrici del passato.
In uno spazio d’incontro, rinascita e guarigione come quello vissuto a Cacarica, la riconciliazione era evidente e risultava possibile grazie alla volontà delle persone che avevano deciso di intraprendere assieme un cammino di pace, fatto di coraggio, umiltà e compassione. Un’iniziativa che, come tante altre attività della Comisión (l'Università della Pace, i Boschi delle Memorie, le Zone Umanitarie), non sarebbe avvenuta se non fosse stato per la collaborazione tra le realtà locali e il supporto di ONG, Agenzie e fondi internazionali.
Toccare con mano una solidarietà così intensa e sincera mi ha fatto ripensare a molti aspetti della vita perché affiancare la Comisión è stato prima di tutto un esercizio profondamente umano, di ascolto e comprensione, da cui trarre ispirazione e imparare. È stata un’opportunità che si è presentata anche grazie al Servizio Civile Universale tramite il progetto sostenuto dall’ONG italiana PRO.DO.C.S. di cui ero volontaria e che da anni collabora con la Comisión, suo partner locale. In Colombia, come in tanti altri Paesi, il servizio militare è ancora obbligatorio e sono grata a coloro che in Italia più di vent’anni fa hanno lottato perché ai giovani fosse risparmiata l’esperienza della leva.
Nonostante il mondo in cui viviamo sia storicamente segnato dalla violenza e dalla divisione, le persone non dovrebbero essere costrette a impugnare un'arma, ma avere il diritto di vivere in un territorio libero da qualsiasi forma di violenza, dove la pace è la norma e non più un privilegio.