A pochi giorni dalla Conferenza Italia-Africa e dalla presentazione del molto reclamizzato “Piano Mattei” del governo Meloni, è utile provare a capire se il progetto funzionerà o resterà solo una “scatola vuota”. In altre parole, verrà sostanziato da politiche che possano contribuire davvero allo sviluppo del continente africano? Purtroppo, le premesse sin qui non sono delle migliori.
Un problema di metodo: il coinvolgimento dei partner
Sebbene il principio di un rapporto paritario e non predatorio sia
stato più volte ribadito, stupisce la mancanza di un processo di
consultazione e coinvolgimento dei partner africani, come pubblicamente
sottolineato dal Presidente dell’Unione africana Moussa Faki. Un’osservazione che ha prodotto non pochi imbarazzi.
Neanche gli attori del “sistema italiano della cooperazione” sono stati
coinvolti, a partire dalla ONG e dalla società civile impegnata da
decenni con centinaia di progetti e migliaia di partner nel continente.
Non sono state consultate le Autorità locali, le università e i centri
di ricerca, Confindustria; tutti attori peraltro
rappresentati nel Consiglio Nazionale della Cooperazione, ossia
l’organismo di rappresentanza previsto dalla Legge Nazionale della
cooperazione.
La domanda che la Campagna 070
e le reti delle ONG e della società civile si sono poste è: perché
rinunciare a un capitale di conoscenze ed esperienze se si vuole
proporre non l’ennesimo “Piano per l’Africa”, ma una vera iniziativa
“con l’Africa”? Ad oggi non esiste un documento anche solo indicativo
sulle linee del Piano Mattei. Sul piatto c’è solo una cabina di regia
istituita con decreto governativo con tanto di struttura di missione,
che riporta tutto alla Presidenza del Consiglio. Attendiamo quindi con
fiducia, come tutti gli attori potenzialmente interessati, di essere
coinvolti nei prossimi passi.
Le risorse disponibili e il rischio del “gioco delle tre carte”
Probabilmente 5,5 miliardi su priorità condivisibili, seppur ancora troppo generiche, come energia, infrastrutture, salute, istruzione, sono una cifra di tutto rispetto per un singolo paese europeo. Andando però a vedere da vicino la composizione di queste risorse, scopriamo che 3 miliardi provengono dal Fondo Clima (stanziate peraltro dal Governo Draghi) e 2,5 miliardi dalla cooperazione, cioè dai fondi già destinati all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo italiano. Peccato che le risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo non siamo aumentate nemmeno nell’ultima Legge di Bilancio. Non c’è dunque un euro di risorse aggiuntive rispetto a prima, al massimo si tratta di una diversa ripartizione delle stesse. In più c’è il rischio che non vengano impiegate per lo scopo a cui erano destinate, ossia combattere la crisi climatica e l’aumento di fame e povertà. ma sostanzialmente per sostenere accordi con i Paesi africani per il blocco dei flussi migratori.
La vera partita si gioca però in Europa: 150 miliardi nei prossimi 5 anni, ma a quali condizioni?
La vera partita si giocherà comunque in Europa nei prossimi anni, perché da lì arriveranno ben 150 miliardi con Il programma “Global Gateway”, come ha ricordato la stessa Von der Leyen al summit di Roma. Anche in questo caso però, il programma desta molte preoccupazioni sempre rispetto all’impiego dei fondi, come rilevato da Oxfam e altre organizzazioni della società civile. Le condizioni che potrebbero essere poste ai governi africani per gli investimenti potrebbero infatti non essere in linea con i principi dello sviluppo sostenibile, stabilendo regole del gioco sbilanciate verso gli interessi europei su commercio, agricoltura, migrazioni. Non sostenendo progetti efficaci di lotta alla povertà e alle tante disuguaglianze che attraversano l’Africa. L’auspicio è quindi che tutto ciò non accada, ma vengano utilizzate per offrire ai paesi africani le risorse necessarie a sostenere una transizione verde e ampliare i programmi di sviluppo.
L’occasione del G7 a Presidenza italiana: cruciale ridurre il peso del debito per i Paesi africani
In conclusione la domanda è: l’Italia può giocare un ruolo chiave sia
a livello europeo che verso l’Africa, mirando non solo a divenire un
hub energetico di collegamento tra i due continenti? Crediamo di sì,
se terrà conto davvero delle condizioni in cui versa l’Africa, dove il
cappio del debito strozza lo sviluppo e nel 2022 costituisce il 56% del
Pil complessivo; e dove dopo la pandemia tre Paesi – come Ghana, Zambia
ed Etiopia – hanno dichiarato bancarotta.
A partire dal G7 che si svolgerà quest’anno in Italia, quindi, sarà cruciale porre in agenda l’obiettivo di arrivare ad una cancellazione o sostanziale taglio del debito estero che schiaccia molti paesi africani, riducendo le risorse per l’erogazione di servizi essenziali, come istruzione e sanità. Il raggiungimento di questo obiettivo è infatti una condizione preliminare alla buona riuscita di qualsiasi Piano per l’Africa e porrebbe le basi per un reale dialogo paritario attraverso cui indirizzare investimenti e risorse su ciò che davvero serve per lo sviluppo del continente. Non dimenticando di valorizzare quelle buone pratiche italiane della cooperazione tra territori e comunità, che coinvolgono gli attori sociali ed economici, profit e non profit. Una direzione che rappresenterebbe degnamente lo spirito di Enrico Mattei.
*policy advisor su finanza per lo sviluppo di Oxfam Italia